Giovanni Battista Sartori fu il fratellastro dell’artista Antonio Canova: la persona che portò a compimento tutte le volontà testamentarie dello scultore, tra cui quella di completare il grandioso Tempio di Possagno. Conoscere la sua biografia è determinante per capire la grande eredità umana, artistica e culturale di Antonio Canova.
Nato nel 1775 a Crespano da Francesco Sartori ed Angela Zardo, (madre di Antonio Canova, passata a seconde nozze dopo esser rimasta vedova di Pietro Canova nel 1761), Giovanni Battista Sartori Canova deve la sua formidabile cultura agli studi e all’educazione impartitagli nell’ambito del Seminario Vescovile di Padova dove “certo in verun altro istituto ch’io sappia coltivansi come quivi con sì indicibile ardore i classici studj, onde aggirandoti in quel sacro recinto, tra quelle mura venerande, ti parea per poco di spaziare nei dilettosi laureti di Grecia, nei cantati verzieri del Lazio e della Campania e d’incontrarti nelle redivive ombre de’ più begli spiriti di Atene e Roma.” (Giuseppe Jacopo Ferrazzi, Esequie di M. Giambattista Sartori Canova, celebrate in Crespano, Bassano del Grappa 1888). Da studente modello (nel Seminario Vescovile si conservano ancora le sue pagelle riportanti giudizi estremamente positivi) divenne un abile traduttore dall’aramaico, un fine conoscitore della lingua greca antica e latina, un grande appassionato dell’arte dell’oratoria, come era naturale dato che “l’amore della classica antichità, ove abbia a menare di sceltissime frutta, non vuole andare scompagnato dallo studio delle classiche lingue.”
Tutte doti che non passarono inosservate all’ormai maturo Canova che, nonostante gli studi ed il lavoro ormai avviato a Roma, pur lontano da Possagno, aveva sempre continuato a mantenere stretti legami con la Patria natale e soprattutto con la madre Angela, tanto che lo stesso Scultore vedendo “che avea bisogno di persona di fiducia che gli leggesse qualche libro, quando egli operava con lo scalpello” decise di far venire in Roma proprio il suo fratellastro, l’abate Sartori. Il 9 maggio 1800 Giovanni Battista si trasferiva pertanto a Roma, scrivendo così ad Antonio D’Este “mi trovo in Roma con la madre fino dal mezzo giorno di mercoledì. La madre brucia di voglia di rivedere un sì grande e prezioso amico di suo figlio e mostrargli quanto è sensibile all’amore che sente per il medesimo ed esternargli la sua gratitudine a mio riguardo” (Antonio D’Este, Memorie di Antonio Canova scritte da Antonio D’Este e pubblicate per cura di Alessandro D’Este con note e documenti, Firenze, 1864).
Da quel momento il sodalizio tra i due diventerà fondamentale, e se è vero che la madre di Canova, molto presto farà ritorno a Crespano, non ritenendosi a suo agio in una grande e già allora caotica città come Roma, il Sartori, invece, diventerà un assistente importante e fidato nell’attività organizzativa e ‘commerciale’ dello Scultore di Possagno, finendo per diventare il suo segretario. Ufficio quest’ultimo svolto con cura magistrale, attraverso la cura scrupolosa della numerosa corrispondenza dello Studio dell’artista. Lo stesso Sartori seguì il fratello, nei viaggi a Parigi, a Vienna e a Londra. Solo per citare gli esempi più prestigiosi della presenza del Sartori nella vita artistica e culturale dell’illustre fratellastro, basterà ricordare come dei colloqui che lo scultore ebbe a Parigi con Napoleone (ottobre, novembre 1810) il Sartori, sotto la guida del Canova stesso, ebbe a scrivere un diario estremamente interessante, ora conservato a Bassano, nelle collezioni del Museo Civico. Ma ancora, il Canova aveva il Sartori al suo fianco quando si recò a Londra nel 1815 a vedere i marmi del Partenone prelevati e trasportati da Atene nella capitale inglese ad opera di Lord Elgin e di cui Canova riferirà a Quatremere de Quincey nella nota lettera del 9 novembre 1815. Il Sartori, da vero e proprio instancabile consigliere dello Scultore, sedeva al suo fianco nel banchetto preparato dalla Royal Accademy di Londra proprio in onore di Canova, cui parteciparono fra l’altro personaggi come Thomas Lawrence (autore del suggestivo e penetrante dipinto che si trova nel I Piano della Casa Natale di Possagno), l’editore Augustus Granville (che si adoperà in Londra per dare grande risalto e risonanza alla visita dello scultore italiano) ed il sottosegretario del Foreign Office del Governo di Sua Maestà, William Hamilton.
Ma è probabilmente nella difficile ed abile trattativa impegnata a Parigi nel 1815 per il recupero del bottino di guerra napoleonico, formato da centinaia di capolavori d’arte italiani trafugati, in primis, dai Musei Vaticani, che emerge storicamente, in modo manifesto, la collaborazione e l’integrazione reciproca tra i due fratelli. “Il Canova, scrive il Missirini, coll’assistenza costante del fratello, potè staccare e trasportare dal Museo [del Louvre, n.d.r.] i capolavori di pittura e scultura che formavano lo scopo principale della sua missione (…) non deesi lasciare senza ricordanza di gratitudine, che nella ricupera de’ monumenti antichi a Parigi, fu lo scultore mirabilmente cooperato dall’assidua opera del fratel suo Giambattista, sì per l’estensione del carteggio relativo e delle note, come per la confezione e riscontro de’ cataloghi e per l’assistenza e trasporto degli oggetti. Ciò poi che del fratello può darsi merito precipuo e singolare, fu l’efficace suo studio per la scelta e redenzione dei codici e dei numismi”. (Melchiorre Missirini, Della vita di Antonio Canova. Libri quattro, Milano 1824). Lo stesso Canova scrive al Cicognara, in una notissima lettera del 3 ottobre 1816 esclamando che “appena si crederà che tante statue e tanti quadri, e di quella mole che erano, si sieno potuti ritirare dal Museo Reale di Francia, incassare, imballare e spedire in Italia in soli venti giorni, in mezzo alle imprecazioni di un popolo irritato. Il fatto è pur così, ringrazio il Signore che abbia salvato mio fratello e me da qualche malattia mortale.”
Nonostante quindi la grande amicizia tra i due e l’importanza, quasi strategica, della presenza del Sartori, già apertamente riconosciuta nel corso della vita artistica e culturale del Canova, non è mancato chi ha tentato di oscurare se non addirittura di infangare l’immagine dell’abile segretario, tanto che, ancora ai nostri giorni, appare ancora difficile riconoscerne gli importanti meriti, soprattutto in relazione alla gestione del patrimonio ereditario del fratello Antonio. In questa critica determinante è stato Vittorio Malamani (Canova, Cap. XXV, Le gesta dell’Abate Sartori Canova, Milano 1911). Ecco alcune delle sue lusinghiere affermazioni: “La pubblica antipatia, non si può negarlo circondava in Roma l’abate”, o, ancora “tutti sapevano le sue preoccupazioni per le troppe elemosine del Maestro; sapevano i controlli furtivi, in un cassetto della scrivania, delle somme a ciò destinate e la frequente segreta sostituzione di quattrini spiccioli alle monete d’argento; né alcuno ignorava la sua opposizione, apparentemente sottomessa, ma tenace e vigorosa, al progetto del Tempio di Possagno, voragine di spese a suo danno” (pag. 285, cit.). Ma la questione che più sta a cuore al Malamani riguarda “il testamento disteso dal Canova l’11 agosto 1815, depositato al domani presso il notaio Gasellani in Via Frattina. Il cardinale Consalvi, Mons. Nicolai e Antonio D’Este sapevano d’esservi nominati quali esecutori testamentari (…).” Invece nel 1822 “Il testamento nuncupativo di Venezia, dal quale quei tre furono messi in disparte, li sorprese naturalmente non poco, e, dato l’uomo, ebbero il sospetto che l’abate avesse potuto carpire l’eredità del fratello, suggestionandone la debole coscienza in tempo di morte”. Ci si riferisce, in altri termini a quanto avvenne il 13 ottobre 1822 quando “l’anima del grande scultore tornò a Dio, dopo aver ricevuto con grande serenità i conforti religiosi, presente sempre il fratello abate che ne raccolse l’ultimo respiro e le volontà” dichiarate mediante testamento nuncupativo. Tale forma di testamento, propria del diritto comune, di derivazione romana, si caratterizza per la dichiarazione orale (anziché per iscritto) delle ultime volontà del testatore, in presenza di testimoni. Le ultime volontà dello scultore ormai morente vennero parzialmente modificate, rispetto a quanto dichiarato dal medesimo nel 1815, attraverso una dichiarazione raccolta da tre testimoni, poi separatamente uditi dal Tribunale Civile di Prima Istanza (i testimoni erano il dott. Aglietti, il dott. Arrigoni ed il Gamba). Il concetto fondamentale del testamento nuncupativo sembra chiaro “dati i grandiosi lavori del Tempio da poco iniziati, dati il molto tempo e le gravi cure da essi richiesti, e data la necessità di concentrare in un solo individuo la direzione dell’azienda, questo individuo fosse l’abate, nominato per ciò erede universale; ma dovesse impiegare il patrimonio anzidetto nella fabbrica del Tempio, terminata la quale egli avesse il dovere, sul suo onore e sulla sua probità (…) di eseguire le disposizioni del testamento di Roma rimaste intatte. (…) Il testatore lasciava l’abate nel diritto e nella libertà di fare alle disposizioni predette ‘quelle eccezionali alterazioni – così il testo – che per motivi posteriormente insorti risultasse che dovessero aver luogo secondo le intenzioni’ del maestro” (Malamani, cit.). Fu proprio tale testamento l’origine prima di tante accuse contro l’abate, mosse da chi sperava di aver parte alla sua eredità. Dopo la morte del Grande Scultore, l’abate Sartori decise di lasciare Roma, nonostante gli venissero offerti posti onorifici di prestigio e preferì stabilirsi in patria per condurvi una vita sia pure più umile di quella romana, ma decisamente più serena e tranquilla. Scelse quindi Possagno come Patria adottiva (ebbe sua cappella privata in Casa Canova, anche se si recava spesso alla Gherla di Crespano). La scelta di ritirarsi nei suoi luoghi d’origine non gli impedì comunque di ottenere importanti titoli onorifici e tra questi si ricorda soprattutto la nomina a Vescovo di Mindo conferita nel 1826 da Leone XII. La decisione di fare rientro in patria fu la vera fortuna per i luoghi di Canova, in particolare per Possagno e Crespano ed anche per Bassano, e non per questi centri soltanto. Si deve all’impegno dell’abate la conclusione dei lavori del Tempio di Possagno, una fabbrica notevole ed estremamente dispendiosa, proseguita nonostante le critiche, le incertezze e le perplessità dagli stessi Possagnesi, con il merito, peraltro, di lasciare inalterata l’idea originaria del progetto canoviano, pur necessariamente riadattato per l’intervenuta morte dello scultore. Il Tempio costò oltre un milione di franchi! Sempre al fratellastro di Canova va il merito di aver raccolto i migliori gessi delle opere canoviane, stipati nello studio romano, portandoli a Possagno, e costruendovi appositamente un museo. Che sarebbe stato di quei gessi se non fossero rimasti a Possagno, se si pensa alla critica feroce che avrebbe colpito l’arte di Canova, alcuni decenni dopo? Al Comune di Possagno il Monsignore donò poi la Casa natale e la Gipsoteca col terreno circostante. A Crespano, assieme al parroco don Leandro Ruaro, stipulò il contratto per degli affreschi che l'artista bellunese Giovanni Demin doveva eseguire nella chiesa parrocchiale del paese, lavori che in gran parte finanziò egli stesso (1852). A lui si deve pure la costruzione dello stradone e del piazzale dl Tempio. Contribuì con generosità affinché i Padri Cavanis aprissero qui il Collegio Canova, che ancora oggi garantisce l’istruzione a centinaia di studenti, lasciandovi alcuni importanti volumi della sua prestigiosa biblioteca. L’istituto veniva aperto il 1° novembre 1857. Inaugurava la festività con parole calde ed eloquenti il padre Sebastiano Casara, preposito della Congregazione.
Anche Crespano fu beneficata, sia con lasciti di proprietà terriere sia con opere di pubblica utilità. A tal proposito si ricorda il contributo elargito per l’opera della realizzazione della strada che “dalla Piave conduce a Bassano: (…) fortissima la spesa, specialmente pel Ponteggio fra Possagno e Cavaso , e pel ponte, che dovea congiungere le due alture, attraverso il profondo precipizio, detto volgarmente il salto di Crespano. E mons. Canova caldeggiò operosamente l’impresa, prestò gratuito il denaro, trovò imprenditori del lavoro, accollandosi il più del fabbisogno. In luogo delle Aust. L. 59.000, se ne spesero Aust. L. 120.000. Ma l’arditissimo ponte, d’un solo arco di 40 metri di corda, il 9 maggio 1830 precipitò. E tutto il danno gli ritornò sopra capo. Ma Monsignore non si perse d’animo. Perché le sue Comuni potessero godere de’ più spediti transiti e degli agevolati commerci offrì del suo altri 18.000 franchi, a condizione che il ponte fosse compiuto e collaudato nel dicembre 1833.” (Giuseppe Jacopo Ferrazzi, cit.). Non mancarono di ricevere importanti elargizioni anche gli stessi Seminari di Treviso e di Padova. Al primo fu destinata la pregiata collezione dei Classici greci, mentre al Seminario di Padova “nel quale ebbe educazione letteraria e venne assunto al sacerdozio in segno di grata ricordazione” (Lettera a Mons. Farina, Vescovo di Padova, del 12 aprile 1833) donava due serie di monete romane consolari e dell’alto impero in numero di 3593, monete che furono per tanti anni il caro oggetto delle sue assidue ed appassionate cure. Ancora, l’Ateneo Veneto di Treviso ricevette il dono delle stampe canoviane, “dono veramente magnifico – diceva il bianchetti nella Lettera del 6 febbraio 1845, nell’occasione in cui venivano messe a cornice – e ben meritevole che il nostro Segretario perpetuo, con quella iscrizione che potrete leggervi sovrapposta, ne tramandasse a’ posteri, ed a’ futuri accademici la riconoscenza”. Il Comune di Asolo ricevette in dono la statua di Paride. Che dire poi del lascito Sartori al Museo di Bassano del Grappa, dove vennero destinati alcuni opere d’arte di rilevante valore, appartenute alle collezioni personali di Canova. Solo per fare alcuni esempi basterà ricordare i dipinti di Mengs e Verstappen. A Bassano vennero poi destinati un notevole numero di busti in gesso, i modelli per la statue equestri a Carlo III di Napoli e Ferdinando I, centinaia di volumi, “la parte più eletta de’ suoi libri” (Lettera di donazione del 3 e del 10 maggio 1852). Inestimabile soprattutto è il tesoro dell’epistolario canoviano (12 volumi) e la raccolta di disegni, schizzi e studi di accademia che si compone di migliaia di fogli. Difficile quindi mettere in discussione l’illuminata generosità di Sartori Canova verso la patria natale, e soprattutto verso i luoghi che più erano stati vicini al Canova e in qualche modo alla stessa formazione culturale e religiosa dello stesso Monsignore. È possibile cogliere tale generosità anche nel suo stesso testamento, laddove dispone che “la sostanza in lui unicamente derivata dal lascito del Marchese A. Canova, suo amatissimo fratello, d’illustre e carissima ricordanza, per quella testimonianza della cordiale fiducia con cui lo ha reso libero esecutore de’ suoi pii e generosi voleri abbia ad essere disposta tutta a beneficio altrui. (…) A seconda delle circostanze che si troveranno più opportune siano istituite una o più istituzioni di pubblica utilità e beneficenza a vantaggio delle due Comune di Possagno e di Crespano, o più estesamente, se così fosse reputato opportuno all’uopo”. Il Sartori ordinò poi di essere tumulato “nell’area che racchiude le ceneri di suo fratello che fu ed è sempre il sacro e tenero oggetto del suo cuore su questa terra”. In tale tomba monumentale voleva si aggiungessero queste sacre parole: “Quomodo in vita sua dilexerunt se; ita et in morte non sunt separati.” Morì a Possagno nel luglio 1858. (autore del testo: Andrea Dal Negro; da: Wikipedia) |