Poco a sud del colmello di Cunial di Possagno, entro un ristrettissimo pianoro chiuso a ovest dal Còl Musón e dal Col Schiavo e a est dall'estremo limite occidentale delle Cóe, le colline che sbarrano verso sud il territorio di Possagno, accanto a un campanile eretto nel 1907 sorge una antica chiesetta solitaria, dedicata a Santa Giustina. Lo slargo costituisce il valico naturale tra la zona occidentale della Valcavasia e il comune di Castelcucco o, meglio, il colmello castelcucchese del Lungomusón, così detto perché percorso dal torrente Musón. Il ristrettissimo pianoro della chiesetta è tagliato verticalmente da nord a sud da una strada che, provenendo dai colmelli possagnesi di Rovèr e Cuniàl, raggiunge il sacro edificio. Di qui, proseguendo lungo la stessa direzione, scende poi verso Castelcucco per un lastricato naturale a ripido pendìo, chiamato “Laste" o “Laston": ritenuto nella voce popolare una antica via romana di comunicazione tra la Valcavasia occidentale e l'arca di pianura e campagna che si stende verso sud, a partire dalla falda meridionale del Còl Musón. Fino ad alcuni decenni fa quest'ultimo tratto era facilmente transitabile ai pedoni lungo un itinerario ora in parte franato e reso impervio. Questa antica strada a percorso verticale da nord a sud si incrocia, proprio nel pianoro di Santa Giustina, con un'altra vecchia strada trasversale che, provenendo dai ripiani più elevati delle Mòtte, le colline di cui è parte estrema verso oriente il Còl Musón, prosegue poi verso est in direzione dei Piave in mezzo alle alture che chiudono a sud la Valcavasia.
L'impianto dell'edificio appare antico, ma è difficile stabilirne l'epoca di origine sulla base della tecnica muraria. Si propende da alcuni dei posto a farlo risalire a tempi romani; anzi si pensa addirittura che la costruzione originaria non fosse una chiesa, ma un corpo di guardia romano, a vigilanza dell'incrocio delle due strade tra loro perpendicolari, di cui si è detto. Si va ora proponendo tutto un programma di esplorazione muraria e sotterranea, che forse potrà dire la parola definitiva in merito, poiché gli assaggi sugli intonaci interni finora eseguiti poco o nulla hanno rivelato e la ceramica reperita non risale oltre circa il secolo decimoprimo.
La chiesa ha l'abside ritualmente volta ad oriente, secondo il modulo delle primitive chiese cristiane anche insigni e di quelle superstiti più antiche del Pedemonte del Grappa. L'aula ha pianta rettangolare e misura metri 9 per 5,80, esclusa l'abside che allunga l'edificio a metri 16,30. Le mura perimetrali appaiono regolarmente verticali all'interno; esternamente invece si presentano inclinate, perché lo spessore è più forte alla base e si va restringendo verso l'alto: anche qui secondo metodi edificatori propri di altre antiche costruzioni pedemontane. In età moderna - nel corso del secolo XVIII, almeno come si può ricavare da una data esistente in una trave corrispondente ai muri dell'abside - l'edificio subì un radicale rifacimento. Tra l'altro i muri perimetrali vennero alzati, in modo da rendere più elevata la copertura della chiesa che infatti a chi entra dà subito la sensazione di una altezza insolita per una chiesa primitiva, anche in relazione alle proporzioni della pianta. Più basse infatti si presentano altre chiesette antiche della zona, rimaste intatte o quasi col passare dei secoli: si pensa qui al Sant'Andrea di Fietta, al San Paolo di Crespano e al vicinissimo San Bórtolo di Castelcucco. Questa sopraelevazione si avverte anche esternamente, perché a partire da una certa altezza le mura salgono non più seguendo l'inclinazione inferiore, ma verticalmente. Anche l'abside rientra nella parte dell'edificio ristrutturata o rifatta.
Il piccolo sagrato, posto a ponente della chiesa, che fungeva anticamente da cimitero, è recintato mediante un basso muro perimetrale.
La tradizione comune della popolazione della zona e di tutta la Valcavasia addita nella vetusta chiesetta la più "antica parrocchia dei tre paesi di Possagno, Castelcucco e Paderno", con "estensione dall'Astego alla Valcavasia": formula stereotipa o quasi nella bocca degli anziani e degli originari dei luoghi, solo integrata talora dalla aggiunta del paese di Fietta, che nel Medioevo costituiva comunello autonomo, ma oramai da moltissimo tempo divenuto frazione di Paderno. […] (Luigi Melchiori, La Valcavasia.)
La storia della chiesa di S.Giustina nei documenti antichi
Della chiesetta la più antica notizia di cui si è a conoscenza si deve a due documenti dell'anno 1172, con cui i da Rovèro, signori del vicino castello omonimo, rinunciano a tutti i diritti che detenevano sulla chiesa di Santa Giustina in favore del priorato di Santa Maria Maggiore o Santa Fosca di Treviso, dipendenza del famosissimo monastero di San Silvestro di Nonantola. e in favore della chiesa di San Teonisto di Possagno, anche questa di obbedienza nonantolana.
Opportuno ascoltare questi documenti nei loro enunciati essenziali. Essi vengono redatti il 21 maggio di quell'anno in due luoghi, in due momenti e da attori diversi.
In un primo tempo la cerimonia dell'investitura - investivit - si compie « nel cimitero sotto il portico della chiesa di San Giorgio di Castelcucco », l'antenata della odierna parrocchiale del paese. Donatori sono Odorico di Rovèro e i suoi fratelli Zanca e Villano, figli del fu Solimano di Rovèro, - che agiscono anche a nome del fratello Solimano, probabilmente assente. Beneficiari risultano «dòmino Costantino, priore dei monastero [nonantolano] di Santa Fosca di Treviso, e dòmino Gerardo, prete della chiesa dei Santi Teonisto, Tabra e Tàbrata [di Possagno] , che ricevono, a titolo di proprietà, tutti i diritti - rationes - che [i donatori] detenevano sulla cappella di Santa Giustina e, per intero, di tutti i diritti che già vi deteneva ed esercitava Nicola Zancario»: quest'ultimo probabilmente predecessore di Gerardo e già investito di simili o uguali diritti. Poiché il priorato trevigiano di Santa Fosca e la chiesa possagnese erano soggetti al monastero di Nonantola, tanto il priore trevigiano che prete Gerardo ritengono l'investitura come accettata «a nome del monastero di San Silvestro di Nonantola, di modo che da quel momento in poi sia il predetto monastero di San Silvestro sia la chiesa di Possagno abbiano pieno possesso, a titolo di proprietà, della sunnominata cappella di Santa Giustina».
Sempre nello stesso giorno, ma in un secondo momento, nel castello di Rovèr - in Castro Rovarii ‑, alla presenza di vari testimoni, «Endrigeto - Inrigitus -, [pure] figlio del fu Solimano e fratello dei suddetti, cioè di Zanca e Villano, procedette alla medesima investitura sempre nelle mani del priore Costantino e di prete Gerardo, che [ancora] la ricevono a nome del monastero di San Silvestro di Nonantola e della chiesa di Possagno». Divengono così beneficiari «totalmente - in integrum - di tutti i diritti che egli deteneva sulla cappella di Santa Giustina e pure totalmente di quelli che [anteriormente] vi deteneva ed esercitava Nicola [Zancario]». Anche in questo caso l'investitura si intende accettata a nome del monastero di Nonantola: in modo.che «da quel momento in poi il predetto monastero e la chiesa di Possagno abbiano ed esercitino, a titolo di proprietà, [ogni diritto su Santa Giustina] e agiscano nei riguardi della chiesa nel modo che riterranno più opportuno».
Un terzo atto di donazione si compie il giorno successivo, 22 maggio, quando in una pubblica via nei pressi di Castagnole di Paese, vicino a Treviso, alla presenza di vari testimoni Alessandro di Rovèro, probabilmente non presente ai due atti precedenti, compie la medesima investitura. Anche qui il donatore rinuncia ai suoi personali diritti su Santa Giustina e a quelli che vi deteneva ed esercitava il suo associato - per consorthiam - Nicola [Zancario] nelle mani del priore Costantino «che riceve a nome del [superiore] monastero di Nonantola e della chiesa di Possagno», concludendo con la medesima formula: «d'ora in poi il monastero nonantolano e la chiesa di Possagno detengano il possesso della chiesa di Santa Giustina e facciano di essa quello che ritengono opportuno secondo diritto di proprietà».
Non meraviglino la molteplicità degli atti e il numero dei donatori: poiché, secondo il diritto feudale, le successioni ereditarie ripartivano le quote tra tutti i famigliari aventi diritto.
Esattamente vent'anni dopo, cioè nel 1192, si stipula un altro atto tra i da Rovèro, da una parte, e, dall'altra, il priore Silvestro della chiesa di Santa Maria Maggiore di Treviso - che è poi la già riferita Santa Fosca - e prete Gerardo. Alessandrino di Rovèro, chiaramente discendente ed erede dei personaggi sopra nominati, «a titolo di permuta e di reciproco scambio» cede in proprietà alcuni beni terrieri «a dòmino Silvestro, priore della chiesa di Santa Maria [Maggiore] di Treviso e a prete Gerardo di San Teonisto di Possagno, che li ricevono a nome della chiesa di San Teonisto di Possagno», soggetta - de obedientia - al monastero di Nonantola. I beni ceduti sono così enumerati: anzitutto un'area - sedimen - situata a Possagno «in luogo detto estremità delle vigne» - in Possagno in loco qui dicitur Capud (cioè Caput) vinearum -; poi un piccolo appezzamento - sors - nella montagna che sovrasta il paese - de sorte una in Monte Possagni -; in terzo luogo «due porzioni del bosco di Castagneto, situato nel colle di Valdrado» (forse l'odierno Còl Draga?); quindi «un prato sui declivi pianeggianti del colle Valdrado» - in planellis de colle Valdrado -; infine «cinque appezzamenti in territorio di Possagno e nelle sue pertinenze».
Dei cinque appezzamenti, il primo confina in parte con terreni della chiesa di Possagno - ab ambobus lateribus possidet Ecclesia S. Teonisti de Possagno -; il secondo rientra nell'ambito dell'odierno colmello di Cuniàl - in loco qui dicitur Cuniale -; il terzo si trova in località denominata Valle de subpalada; il quarto è alle Masière, pure odierno colmello possagnese - in loco qui dicítur Masería -; il quinto è sito in loco qui vocatur freza, adiacente a una proprietà del figlio del fu Valperto di Cavaso, personaggio tra i più noti nelle cronache medioevali trevigiane.
Da parte sua il priore dì Treviso e prete Gerardo, sempre a titolo di compenso di quanto avevano ricevuto, cedono in proprietà ad Alessandrino una cesura a Possagno; inoltre un appezzamento di terreno che penetrava in una cesura di Alessandrino, come livello perpetuo per una somma simbolica di un denaro annuo; infine gli consegnavano la somma di lire 106. Non dunque atti di generosità e munificenza, quelli compiuti dai da Rovèro - come ritiene l'Agnoletti -; ma operazioni finanziarie e pèrmute regolari di beni: tanto più che i da Rovèro possedevano il giuspatronato sul San Teonisto, con diritto di sceglierne i rettori.
(Luigi Melchiori, La Valcavasia) |